La composizione - Ben

Vai ai contenuti

La composizione

Fotografia
La composizione
Due sono le cose che un fotografo dovrebbe assolutamente padroneggiare: la tecnica e la composizione (altrimenti detta taglio fotografico o inquadratura) che è poi quella da cui emerge in modo evidente il lato artistico.
Mentre la conoscenza tecnica si estrinseca prevalentemente nella capacità di esporre in modo corretto, valorizzando sapientemente le luci e le ombre, l'applicazione dei principi compositivi apporta un valore aggiunto all'immagine.
Mi spiego meglio: una foto può essere bene esposta (bilanciamento ottimale tra luci ed ombre), con una precisa messa a fuoco  sul soggetto, eppure risultare compositivamente sgradevole se non del tutto sbagliata.

Bisognerebbe partire da un principio che - osservo - sfugge alla quasi totalità di coloro che partecipano per la prima volta ai corsi di fotografia. Il principio - banale fin che si vuole ma fondamentale - è che mentre i nostri occhi (sarebbe più preciso dire il nostro cervello) sono in grado di cogliere la terza dimensione (profondità) e di riuscire a concentrarsi, isolandolo dal contesto, su un singolo soggetto da cui si è attratti, la fotografia essendo per sua stessa natura bidimensionale  registra tutto il campo inquadrato, sfondo incluso appiattendolo impietosamente.

Facciamo un esempio: siamo attirati da un bimbetto che corre sul prato dietro ad un pallone. Sebbene la scena si svolga in un contesto in cui ci sono panchine, cespugli, bidoni delle immondizie, pali della luce, recinzioni, altre persone e chi più ne ha più ne metta, la nostra mente è concentrata solo sul bimbo. Il nostro cervello riesce a cancellare tutto il resto, meglio ancora lo sterilizza, relegandolo in una sorta di limbo in cui l'ambiente è diventato invisibile. Di conseguenza, se inquadriamo e scattiamo pedissequamente, fidandoci del fatto che gli automatismi della fotocamera sono in grado di renderci il nostro bimbo messo bene a fuoco e con la giusta luce, ritroveremo ammucchiati nella fotografia anche tutti quegli elementi estranei al soggetto principale che confonderanno chi poi guarderà l'immagine prodotta. Nella foto infatti figurerannoo anche  il palo della luce che spunta dietro la testa del bimbo, il cestino delle immondizie posto nello spazio tra lui e la palla, il posteriore di un cane che sta annusando il prato, le gambe di un tizio che sta leggendo il giornale sulla panchina, in buona sostanza tutta una sequela di elementi di "disturbo" caotici anche nella successione dei piani.

Tuttavia la mente di chi ha scattato la fotografia (mi riferisco a quanti sono alle prime armi) continuerà a cancellare tutto il contesto ridondante continuando a vedere "solo" la figuretta del bambino, mentre un osservatore estraneo, guardandola, resterà confuso dall'ammucchiarsi disordinato dei soggetti raffigurati.

Questo fenomeno è in massima parte presente nelle fotografie panoramiche, croce e delizia dei viaggiatori che - armati di fotocamera - invadono come orde barbariche i posti turisticamente più noti e scattano praticamente alla cieca. Poi, giunti a casa, cominciano a raccontare ( o meglio a spiegare) agli amici e parenti che cosa hanno inteso riprendere.
" Vedi, là in fondo,...sulla destra...sì quella vicino al carretto del gelataio... una fontana meravigliosa. Si vede appena, sai la macchina è quella che è, poi c'era un sacco di gente, però lascia che ti spieghi com'era fatta." E così via.

Mai convincersi del fatto che il primo punto in cui siamo capitati sia il migliore possibile da cui scattare una foto. Sovente, piccoli spostamenti, anche laterali, sono in grado di aprire prospettive inusitate e decisamente più interessanti.

Ripeto sempre agli allievi dei corsi del nostro fotoclub, che spiegare una fotografia è come spiegare una barzelletta. Significa che non siamo stati in grado di raccontarla bene. Le foto non si spiegano, devono esprimersi compiutamente da sole.

Ogni foto è una piccola narrazione. Va scritta bene: soggetto, verbo e complemento.
In questo compito deve sostenerci la composizione fotografica. Che non è solo esercizio di stile, ma anche capacità di svolgere il tema con l'uso appropriato dei vocaboli. C'è un pericolo in tutto questo: che qualcuno si innamori della eleganza forbita e trascuri il messaggio, rovesciando così la medaglia. Si corre il rischio cioè di fare foto stilisticamente accattivanti, ma algide e senz'anima. Un po' come scrivere un bel tema da cui non trasuda alcun sentimento o messaggio che vada dritto al cuore. Un po' come quei bei discorsi che ogni tanto si sentono alla televisione: una raffinata sequenza di locuzioni dotte, ma delle quali si è capito ben poco. Questo pericolo dietro l'angolo io lo chiamo sindrome del geometra (absit iniuria verbis), per dire che si assiste talvolta a discussioni sulla punta del cappello tagliata ignorando del tutto l'efficacia di una istantanea di un volto straordinariamente espressivo.

Vanno pertanto  distinte le due situazioni canoniche in cui un fotografo può trovarsi ad operare: quella in cui ha di fronte un soggetto statico (o in posa) e dispone del tempo necessario per costruire una inquadratura rigorosa e quella in cui, al contrario, va colto l'attimo fuggente, in cui è necessaria prontezza e colpo d'occhio non essendo consentito dire "fermi tutti, grazie!".
Nella ripresa d'azione possono quindi apparire lievi imprecisioni, ciò è assolutamente naturale. Se si osservano le foto di questo genere anche di grandissimi maestri troveremo innumerevoli peli nell'uovo. Ma, a differneza di un principiante,  un bravo fotografo non farà mai errori grossolani. Il suo soggetto principale sarà sempre perfettamente a fuoco e ben centralizzato, l'inquadratura sarà sempre orientata a indirizzare l'osservatore sulla narrazione fotografica.

Se, per assurdo, potessero scindersi le cose e dovessi personalmente assegnare una scala di valori, darei al contenuto (ovvero alla capacità di emozionare) un punteggio leggermente più alto che non alla forma. Ma non va dimenticato che dire cose belle in modo errato fa perdere alle stesse gran parte della loro efficacia. Trovo quindi che la ricerca dell'equilibrio tra forma e materia sia la cosa più importante e - al tempo stesso - più difficile da realizzare.

Suggerisco - come metodo di lavoro - di ricercare sempre la centralità e la pulizia. Centralità del soggetto e pulizia dalle ridondanze inutili. Più che l'applicazione mnemonica delle regole, conta il metodo e il buon senso. Le regole sono rigide, il metodo è elastico. E come primo metodo utilizziamo quello di avvicinarci sempre al soggetto principale e riempire il campo inquadrato.
Come diceva Capa, se la vostra foto non è abbastanza buona è perché non eravate abbastanza vicini. Poi il resto, pian piano, verrà da solo.

Osservare bene nel mirino che cosa si trovi intorno al soggetto e soprattutto sullo sfondo, deve diventare un esercizio continuo.
Insegna a cambiare - se il caso - posizione e soprattutto a curare l'inquadratura. Anche per questa ragione (ma non è l'unica) consiglio di dotarsi almeno di una ottica fissa, e allenarsi con essa più che con uno zoom.

A questo dovrebbero servire in primo luogo i buoni corsi di fotografia: oltre che ad utilizzare convenientemente il mezzo tecnico, ad imparare ad osservare con attenzione il soggetto, e migliorare nella ricerca stilistica finalizzata al buon taglio fotografico.




“Tu non fai una fotografia solo con la macchina fotografica.
Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai ascoltato e le persone che hai amato. ”

Ansel Adams

Torna ai contenuti