L'analisi fotografica - Ben

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L'analisi fotografica

Fotografia
L'analisi e la lettura fotografica
Le motivazioni allo studio
Per scattare una fotografia non ci vuole poi molto.
Basta una macchina fotografica ( analogica o digitale poco importa), inquadrare e scattare.
Se poi questa azione è preceduta da una fase più tecnica, quale l'appropriata ricerca della giusta esposizione (sarebbe meglio dire della più idonea combinazione: tempo di posa/diaframma) e da un'accurata ricerca compositiva (taglio, inquadratura) si è indubbiamente aggiunto un elemento qualitativo ad un fatto puramente quantitativo (lo scatto).
La tecnologia ha messo a disposizione degli utenti macchine sempre più avanzate, in grado di esporre correttamente, mettere a fuoco in modo automatico, persino inseguire un soggetto in movimento, riconoscere i volti, azionare il flash quando la luce è scarsa, procedere ad una sequenza di scatti (bracketing) con piccole variazioni esposimetriche in modo da assicurare che almeno uno di essi risulti più preciso.
Siffatto gigantesco aiuto nel processo di "costruzione" dell'immagine, "dovrebbe" facilitare di gran lunga il lavoro di un fotografo, esentandolo da una serie di passaggi tecnici preliminari, un tempo assolutamente necessari per ottenere un risultato decente.

In realtà si è assistito ad un paradosso: ad una maggiore facilità nell'ottenere immagini correttamente esposte accompagnata dalla possibilità di fare innumerevoli scatti a costo "zero" col digitale, è conseguita, proporzionalmente, una generalizzata bruttezza delle immagini in circolazione. Foto nitide, correttamente esposte ma non di meno insulse.

Non è esente da ciò una qualche "colpa" del digitale, che invoglia a scattare foto in quantità industriale tanto le si vedranno poi sul monitor del proprio computer senza dover spendere un centesimo.
Un tempo il costo delle stampe finiva con assolvere a quella che nell'evoluzione della specie era rappresentata dalla selezione naturale: andavano avanti i più dotati o chi poteva permettersi di spendere. Le (poche) foto che circolavano era decisamente migliori di quelle (molte) che oggi imperversano. Basta fare un giro sui social forum per vederne di tutti i colori.
Per carità, non si intende con questo dire che si viveva meglio quando la fotografia era un fatto elitario o riservato a pochi ostinati appassionati.
Si intende piuttosto dire che se è vero che il progresso è tale quando è alla portata di tutti, è altrettanto vero che la facilità nel disporre di una cosa la rende generalmente di poco valore e si finisce - nella stragrande maggioranza dei casi - con un appiattimento che sconfina nella sciatteria.

Faccio un esempio che potrebbe apparire fuorviante, ma che ritengo invece utile nella sostanza.
Assicurare il diritto allo studio è una delle principali attribuzioni di uno stato moderno.
La cultura garantisce persone più consapevoli, preparate e in grado di interagire al meglio in un sistema ordinato di regole e compiti.
Tuttavia è difficile negare che chi si tuffa nello fatica dello studio a caro prezzo, impegnandosi e mettendoci del proprio, motivato perché tocca con mano la condizione da cui sta partendo e aspira ad elevarsi, consegua complessivamente risultati migliori di chi a scuola ci va solo perché c'è qualcuno che paga.
Penso a chi deve lavorare di giorno e andare a scuola di sera, pagarsi di tasca la retta scolastica, sottrarre ore al sonno per studiare, trascorrere sabati e domeniche sui libri. La settimana lavorativa non consente di ritagliarsi spazi "ad libitum". Per resistere a questo stress necessita ben altra grinta, determinazione e voglia di riuscire rispetto agli studenti più fortunati che vanno solo a scuola e possono godere di una più ampia libertà di gestione delle ore settimanali.
Nessuno nega che anche tra questi ultimi vi siano studenti di grande valore e serietà, ma in genere - una volta calati nel mondo del lavoro - la differenza con chi ha lavorato e studiato contemporaneamente, quanto meno nei primi anni di esperienza lavorativa, è tangibile: la concretezza, la flessibilità, l'allenamento a quello che oggi si ama definire "multitasking" balza agli occhi immediatamente. Inoltre si matura prima e si sviluppa senso pratico ed autodisciplina.
Tutto questo mi porta a dire che anche in fotografia vale lo stesso principio.
Se ci si limita a farsi aiutare (dominare) dagli automatismi, si viaggia a rimorchio, e non si fa uno sforzo per gestirli e capirne la reale funzionalità non si progredisce.
Non si sa più dove inizi il nostro merito e finisca quello della tecnologia insita nello strumento che si è adoperato.
Se non si è motivati, non si studia e si lavora al tempo stesso (teoria e pratica) anche nella fotografia si va poco lontano.
Valutare una fotografia
La parte tecnica non è qui trattata. Si invita il lettore a seguire un corso (possibilmente serio) di fotografia.
Qui vorrei soltanto limitarmi a d alcuni spunti di riflessione su un tema poco trattato ma che integra l'idea astratta della "buona fotografia".

Siamo in grado di valutare una fotografia? In base a quali criteri? Se ci piace, sappiamo dire perché ci piace? E se non ci piace, sappiamo motivare perché non ci piace? Esistono dei criteri comuni (parametri) di giudizio o delle linee guida su cui fondare un esame possibilmente obiettivo?

Anche la fotografia rientra nelle arti figurative e, come tutte le espressioni artistiche, difficilmente si riscontrerà che due più due fa quattro. Così come un quadro o una scultura - ipotizzando che l'autore sia un perfetto sconosciuto - potrà trovare estimatori che spenderebbero anche una cifra importante per averlo e, al contrario, disistimatori che non lo vorrebbe neanche gratis, altrettanto una fotografia potrà piacere e dire molto ad alcuni e poco o niente ad altri. Questo ragionamento non vale per autori celebri e conclamati. Anche se a qualcuno potrà non piacere lo stile di Picasso, è facile scommettere che se si trovasse ad ereditarne uno se ne farebbe giusto vanto! Van Gogh in tutta la sua vita ha venduto un solo quadro. Si pensi a quanti avrebbero potuto fare la fortuna dei propri figli e nipoti se solo ci avessero creduto a suo tempo quando potevano acquistarli per pochi franchi.

In genere questa differenza di vedute (si fa per dire) trova il suo fondamento nella diversa sensibilità culturale e negli infiniti gradi di preparazione in un determinato ambito. Quanti quadri di valore sono stati ritrovati nei solai o nelle cantine perché chi li possedeva non aveva neppure la più pallida idea di che cosa fossero? Salvo casi eccezionali, difficilmente questo sarebbe accaduto con un lingotto d'oro o un diadema. Qui la sensibilità al valore è assai più volgarizzata e diffusa.

Un altro equivoco da chiarire è quello relativo alla bellezza del soggetto raffigurato. Nella convinzione comune, una bella fotografia dipende dalla bellezza del soggetto ritratto. Una qualunque foto di una bella ragazza ha una altissima probabilità di piacere contrariamente a quella, pur perfetta, di una capra. Un mio carissimo amico, professionista, mi confessò una volta di essere stufo di vedersi proporre da giovani rampanti portfolio formati da una raccolta di belle modelle, paesaggi ipercromatici, lattine brillanti di note bibite e amenità simili. "Questi qui - mi disse - non sanno che nella vita ti tocca riprendere per il novanta per cento delle volte gente normale se non perfino brutta  che vuole comunque apparire bella e che devi produrre immagini accattivanti anche con oggetti e soggetti tristi e banali. E' su queste cose che mi piacerebbe poterli misurare."
Primi passi
Una prima constatazione è che quasi tutte le migliori fotografie hanno il dono della immediatezza, dote che si può riassumere in una espressione idiomatica: "parlano da sole". Come se in esse coesistesse un codice di lettura automatico che ne facilita la comprensione.
Si dice - anche se ciò non è da tutti condiviso - che in tutte le immagini, così come accade nella lettura di un libro, esista un percorso di lettura che seguiamo più o meno incosciamente). Entriamo da un lato per la nostra attitudine a leggere secondo questo verso e usciamo dal lato opposto. Su questa linea ideale bisognerebbe posizionarci per costruire l'immagine. Tuttavia è innegabile che esistono fotografie "centripete" (gravitazione centrale): immagini costituite perlopiù su fattori cromatici, nuclei statici o inserite centralmente in un formato quadrato. Ma nella foto rettangolare, generalmente, lo sviluppo della lettura si articola su questo processo di acquisizione cognitiva: entrata ed uscita.

Un ulteriore elemento è dato dalla composizione per terzi. (Concetto della sezione aurea)
Idealmente una immagine potrebbe essere sezionata in nove quadranti (tre linee orizzontali e tre verticali immaginarie ).
Se si vanno ad analizzare le buone fotografie ci si renderà facilmente conto di come il soggetto graviti sempre su uno dei punti di intersezione di queste linee. L'orizzonte, ad esempio, raramente sarà posizionato al centro nell'immagine spezzandola in due fasce di identica porzione , bensì sul terzo superiore o sul terzo inferiore. L'eccezione a questa regola è rappresentata solo dalle simmetrie che il fotografo ha inteso valorizzare.
Classico esempio: lo specchio d'acqua in cui gli alberi si riflettono.

Un ulteriore elemento è dato dalla presenza o meno di quello che Barthes chiamava "punctum": ovvero quel dettaglio, non sempre codificato o codificabile, che rende la foto non più una foto qualunque, ma costituisce un punto di rottura (folgorazione la definiva Barthes) che attira e punge l'osservatore. Che ci debba essere per forza non è sempre automatico. Ma sovente, nelle buone foto, si è portati a cogliere un particolare, un dettaglio che ci farà apparire la foto non più un quadro anonimo, ma coinvolgente.

Un importante elemento da considerare è quello relativo alla sapiente distribuzione dei soggetti lungo linee diagonali.
Esse, per loro stessa natura, facilitano nell'osservatore l'individuazione dei piani prospettici, accentuando il senso della profondità. Le diagonali definiscono quindi meglio gli stacchi tra il primo piano, quello intermedio e lo sfondo.
Ovviamente, entra qui in gioco anche il sapiente uso del diaframma che - come dovrebbe essere noto a tutti  -
interviene sul contributo dello sfocato, ovvero sulla modulazione dei piani apparentemente nitidi che aggiunge o sottrae elementi di visione.
Conclusioni
Pensare di esaurire un argomento così vasto in una pagina di un sito è pretenzioso.
Il suggerimento è partire da queste considerazioni ed affrontare, dopo un corretto approfondimento tecnico, un percorso di letture di immagini attraverso mostre, guide, libri e buoni maestri.
Non si migliora se non ci si raffronta e soprattutto non si volge lo sguardo ai lavori dei grandi della fotografia cercando di capire principalmente come la loro tecnica sia finalizzata al modo di esprimersi.

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