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Spazio Fotografico
Delle due cose che un fotografo dovrebbe assolutamente padroneggiare, la composizione (che qualcuno chiama anche taglio fotografico) è quella da cui emerge in modo evidente il lato artistico.
Mentre la conoscenza tecnica si estrinseca prevalentemente nella capacità di esporre in modo corretto, valorizzando sapientemente le luci e le ombre, l'applicazione dei principi compositivi apporta un valore aggiunto all'immagine.
Mi spiego meglio: una foto può essere bene esposta (bilanciamento ottimale tra luci ed ombre), con una precisa messa a fuoco sul soggetto, eppure risultare compositivamente sgradevole se non del tutto sbagliata.
Bisognerebbe partire da un principio che - osservo - sfugge alla quasi totalità di coloro che partecipano per la prima volta ai corsi di fotografia. Il principio, banale fin che si vuole ma fondamentale, è che mentre i nostri occhi (sarebbe più preciso dire il nostro cervello) vedono non solo la terza dimensione (profondità) ma riescono anche ad isolare un soggetto da cui si è attratti, la fotografia è per sua stessa natura bidimensionale e riporta fedelmente tutto il campo inquadrato, sfondo incluso.
Se noi siamo attirati da un bimbo che corre sul prato dietro ad un pallone, ancorché la scena si svolga in un campetto dove ci sono panchine, cespugli, bidoni delle immondizie, pali della luce, recinzioni, altra gente e chi più ne ha più ne metta, saremo concentrati solo su di lui. Il nostro cervello riesce a cancellare tutto il resto, meglio ancora lo sterilizza, relegandolo in una sorta di limbo in cui il contesto è come se non ci fosse. Di conseguenza, se inquadriamo e scattiamo pedissequamente, fidandoci del fatto che gli automatismi della fotocamera sono in grado di renderci il nostro bimbo in una giusta luce e correttamente messo a fuoco, tireremo dentro nella fotografia tutti quegli elementi estranei che confonderanno chi poi la guarderà.
Verranno ritratti il palo della luce che spunta dietro la testa del bimbo, il cestino delle immondizie posto nello spazio tra lui e la palla, il posteriore di un cane che sta annusando il prato, le gambe di un tizio che sta leggendo il giornale sulla panchina.
E quando rivedremo la fotografia stampata, i nostri occhi continueranno a cancellare tutto il resto e continueremo ad essere attirati soltanto dalla figuretta del bambino, mentre un estraneo, osservandola, si chiederà - perplesso- quale sia il soggetto della fotografia in mezzo ad un caos disordinato di soggetti ritratti.
La stessa cosa accade nelle fotografie panoramiche, croce e delizia dei fotografi che - armati di fotocamera - invadono come orde barbariche i posti turisticamente più noti e scattano praticamente alla cieca. Poi, giunti a casa, cominciano a raccontare ( o meglio a spiegare) agli amici e parenti che cosa hanno inteso riprendere.
" Vedi, là in fondo,...sulla destra...sì dietro quel monumento... s'intravede uno scorcio meraviglioso. Si vede appena, sai la macchina è quella che è, però lascia che ti racconti." E così via.
Ripeto sempre agli allievi dei corsi del nostro fotoclub, che spiegare una fotografia è come spiegare una barzelletta. Significa che non siamo stati in grado di raccontarla bene. Le foto non si spiegano, devono esprimersi compiutamente da sole.
Ogni foto è una piccola narrazione. Va scritta bene: soggetto, verbo e complemento.
In questo compito deve sostenerci la composizione fotografica. Che non è solo esercizio di stile, ma anche capacità di svolgere il tema con l'uso appropriato dei vocaboli. C'è un pericolo in tutto questo: che qualcuno si innamori della eleganza forbita e trascuri il messaggio, rovesciando così la medaglia. Si corre il rischio cioè di fare foto stilisticamente accattivanti, ma algide e senz'anima. Un po' come scrivere un bel tema da cui non trasuda alcun sentimento o messaggio che vada dritto al cuore. Un po' come quei bei discorsi che ogni tanto si sentono alla televisione: una raffinata sequenza di locuzioni dotte, ma delle quali si è capito ben poco.
Se, per assurdo, potessero scindersi le cose e dovessi personalmente assegnare una scala di valori, darei al contenuto (ovvero alla capacità di emozionare) un punteggio leggermente più alto che non alla forma. Ma non va dimenticato che dire cose belle in modo errato fa perdere alle stesse gran parte della loro efficacia. Trovo quindi che la ricerca dell'equilibrio tra forma e materia sia la cosa più importante e - al tempo stesso - più difficile da realizzare.
Suggerisco - come metodo di lavoro - di ricercare sempre la centralità e la pulizia. Centralità del soggetto e pulizia dalle ridondanze inutili. Più che l'applicazione mnemonica delle regole, conta il metodo e il buon senso. Le regole sono rigide, il metodo è elastico. E come primo metodo utilizziamo quello di avvicinarci sempre al soggetto principale e riempire il campo inquadrato.
Come diceva Capa, se la vostra foto non è abbastanza buona è perché non eravate abbastanza vicini. Poi il resto, pian piano, verrà da solo.
Osservare bene nel mirino che cosa si trovi intorno al soggetto e soprattutto sullo sfondo, deve diventare un esercizio continuo.
Insegna a cambiare - se il caso - posizione e soprattutto a curare l'inquadratura.
Mai credere che il primo punto in cui siamo capitati sia il migliore possibile da cui scattare una foto. Sovente, piccoli spostamenti o avvicinamenti sono in grado di aprire prospettive inusitate e decisamente più interessanti.
A questo dovrebbero servire in primo luogo i buoni corsi di fotografia: oltre che ad utilizzare convenientemente il mezzo tecnico, ad imparare ad osservare con attenzione il soggetto, e migliorare nella ricerca stilistica finalizzata al buon taglio fotografico.
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