© Salvatore Benvenga 2016
GLI AUDIOVISIVI
Tra video e fotografia
Che cos’è un audiovisivo?
Apparentemente si tratta di una domanda banale, giacché
è comunemente noto che trattasi di una proiezione di
immagini supportata da una colonna sonora (in genere di
natura musicale, ma nulla vieta che possa trattarsi anche
di un parlato).
Ci si dovrebbe quindi chiedere più propriamente quando si
può parlare di un buon audiovisivo e quali siano le regole
che dovrebbero reggerlo perché possa essere considerato
un prodotto di qualità.
C’ERA UNA VOLTA
Anni fa - prima dell’avvento del digitale - era in auge la proiezione di diapositive. Per renderla di grande effetto (quasi
cinematografico), a livello professionale o semiprofessionale si impiegavano due o più proiettori sincronizzati da una
centralina su cui si memorizzavano le tracce che avrebbero pilotato le transizioni tra un proiettore all’altro, realizzando la
cosiddetta “dissolvenza incrociata”.
Il sistema evitava l’antiestetico buio intercorrente tra una immagine e l’altra, tipico della proiezione svolta con un unico
apparecchio. Non solo, potevano essere realizzati molteplici effetti - grazie anche ai tempi di scambio delle diapositive
determinati dall’autore - ed in particolar modo prodotta la “terza immagine”. Ovvero quella immagine evanescente che si
forma da due diapositive proiettate nel medesimo istante: una che va a dissolversi e l’altra che sta per rivelarsi. Questo
effetto crea una intrigante sequenza di immagini soprattutto nei casi in cui la diapositiva che si dilegua presenta una zona
scura laterale in corrispondenza della zona in cui la diapositiva emergente registra la presenza di un soggetto.
OGGI INVECE....
Negli ultimi anni, i costosissimi impianti un tempo necessari alla multivisione ( i mitici Kodak Carousel con caricatori circolari
per le diapositive) sono stati soppiantati dal computer e la creazione e gestione degli audiovisivi viene fatta con appositi
software.
Analogamente a quanto è successo per la produzione fotografica, il digitale ha spianato a strada, rendendola accessibile e
meno costosa ad un pubblico vastissimo. Per converso, in entrambi i campi, questa facilità non ha proporzionalmente elevato
la qualità della produzione.
Probabilmente il motivo va ricercato nel fatto che in un fotografo medio non si distingue più se un determinato risultato
dipenda dalla farina del suo sacco o dipenda piuttosto dalla tecnologia che ha tra le mani.
Questa -
ç
a va sans dire - è la realtà.
Ma quali sono i principi base di un buon audiovisivo?
Se non si parte da questi punti - invece di parlare di quale software sia il migliore o quanta RAM serva per gestire la
proiezione - si corre il rischio di scambiare il mezzo con il fine.
Bisognerebbe pertanto partire dal principio che un audiovisivo è assimilabile - per molti versi - ad una piccola produzione
cinematografica e quindi ne condivide i presupposti fondamentali.
Vi sono certamente alcune differenze sostanziali che saranno sottolineate nel prosieguo, ma sono assai di più i punti di contatto che
non di divergenza.
Ogni film che si rispetti è costruito su:
- un tema o storia che dir si voglia;
- una regia;
- uno o più protagonisti
- una sceneggiatura
- un montaggio
- una colonna sonora
Il soggetto è il tema che la sceneggiatura si incarica di rendere
cinematograficamente fruibile. E’ ad esempio il caso di molti libri di successo
che sono stati tradotti in film, con più o meno stretta aderenza al loro
svolgimento.
Un vantaggio dell’audiovisivo è che l’autore, non avendo un libro altrui a cui
attenersi, deve solo preoccuparsi di sceneggiare un proprio racconto
fotografico: nessuno potrà rimproverargli di non aver rispettato una
determinata sequenza cronologica o per capitoli non avendo riferimenti a cui
rifarsi. Tuttavia, ciò non toglie che una corretta sceneggiatura renda più fluido e
“digeribile” il prodotto allo spettatore.
Da qui la necessità di curare la stesura del progetto: esattamente come
farebbe un buon sceneggiatore, prevedendo i blocchi in cui suddividerla e i
passaggi con cui i blocchi devono essere tra loro collegati.
Bisogna affidare ai protagonisti ( le fotografie) le parti da recitare e fare in
m
odo che essi la recitino al meglio.
GLI ATTORI
Gli attori altro non sono che le immagini: buoni attori sono (in genere) buone immagini, ma ci sono stati innumerevoli casi di
film con bellissimi attori che non hanno lasciato traccia nel cuore del pubblico. Le immagini devono essere sì belle, ma
soprattutto efficaci al racconto. Un attore non piace perché è solo bello, ma perché impersona bene la parte che gli è stata
affidata dal regista. Così’ come in un film esistono caratteristi che fanno da spalla ai primi attori e sono una leva preziosa per
esaltarne la bravura, anche nell’audiovisivo, a mio modo di vedere, la bella immagine va aiutata ad emergere.
C’è poi un ulteriore aspetto da tenere presente.
Così come nessun film, commedia o perfino sinfonia sono creati su una linea piatta ma proseguono in modo ondulato con alti e
bassi, momenti di quiete alternati a crescendo e diminuendo in modo da amplificare l’effetto dei picchi emotivi, con altrettanta
cura io credo debba essere disposta la successione delle immagini. Questo perché la mente umana è in grado comunque di
interiorizzare solo una frazione del processo visivo. Allora tanto vale aiutarla a non disperdere questo processo cognitivo in una
massa uniforme di belle immagini indifferenziate. Prova ne sia che se andiamo a vedere una qualsiasi mostra anche di un
grande autore, dove poniamo siano esposte cento fotografie, si può essere certi che già uscendo ma soprattutto dopo qualche
tempo di tutte queste ne ricorderemo chiaramente solo mezza dozzina al massimo. Le altre vengono spolte in profondità pronte
a riemergere ma non più ben chiare. Se andiamo a vedere un film di questo ricorderemo la storia o qualche sequenza.
Difficilmente ricorderemo tutto il film. Lo stesso vale per una commedia o per un bel libro e perfino un bel viaggio.
Non si dice di mettere delle immagini brutte per far risaltare quelle belle, ma di preparare la scena a quelle belle con altre di
contorno. Non è facilissimo, ma bisogna provarci.
Osservo spesso la tendenza a mettere insieme tutte le
più belle immagini scattate, perché piaccono all’autore,
anche se nel filo del discorso risultano ridondanti,
stucchevoli e non apportano valore aggiunto alla
produzione, e per di più inserite a casaccio. Soprattutto si
coglie che in sede di ripresa è mancata l’idea narrativa e
che essa è stata costruita a posteriori. Un po’ come se
avute in affido mille parole ( a caso) con queste si sia
composto un testo senza capo né coda.
Spesso si ignora il fatto che il regista - quando gira le
scene - decide già l’inquadratura. Di conseguenza, se si
pensa di dover costruire un audiovisivo bisognerebbe (ad
esempio) astenersi da scattare fotografie in verticale. Il
film è solo ed esclusivamente orizzontale. Solo qualche
immagine su mille ( perché deve svolgere una funzione
ad hoc) può essere disposta lateralmente, ma questa è
l’eccezione, non la regola.
Il montaggio è importante perché deve essere rispettoso della sceneggiatura, dare i tempi giusti e sviluppare i passaggi
tra i vari momenti dell’audiovisivo. Vanno bene i movimenti fluidi (zoom) sull’immagine ma solo se usati con molta
parsimonia, nei punti giusti e mai in un solo verso.
Un errore frequente sono le transizioni messe a casaccio. O sono tutte eguali, o sfruttano effetti di ogni tipo, tanto che
alla fine provocano stordimento. Bene sarebbe che si provvedesse per capitoli, limitandosi a introdurre poche varianti e
nel passaggio tra i capitoli solo come sottolineatura.
In particolare il montaggio deve armonizzarsi con la colona sonora scelta.
Qui entriamo in un campo minato.
L’errore più banale e frequente è quello di inserire una musica o una canzone solo perché piace: in realtà nessuno tiene
conto del testo della canzone (è aderente o no al tema sviluppato?) né della caratteristica del brano musicale selezionato.
Si proietta un audiovisivo sui Caraibi e lo si musica con il «Wiegenlied op. 49 n° 4 Guten Abend, gute Nacht» di Johannes
Brahms o una proiezione sui campi di lavanda e lo si supporta con un brano hard-rock. Un viaggio in India con
sottofondo musicale organistico e amenità del genere.
Ne ho viste, anzi sentite, di tutti i colori.
In un film la colonna sonora è a servizio della sequenza: conferisce colore, drammaticità o serenità, sostituisce il dialogo
tra gli attori. Basterebbe seguire con attenzione questo aspetto in un qualsiasi film per accorgersi di come il compositore
abbia lavorato sulla scena affidatagli dal regista e non viceversa.
Quindi la musica deve essere funzionale a quanto si svolge, altrimenti l’immagine si
appiattisce troppo o diventa stridente con il sottofondo sonoro. Se si va in un paese
e si desidera costruire un audiovisivo sul tema bisognerebbe anche sforzarsi di
reperire le musiche e le sonorità tipiche di quel paese o quantomeno trovare
musiche con ritmi e strumenti in auge in quel paese. Un altro errore a mio avviso
notevole è quello relativo all’uso delle canzoni in lingua estera. Quasi sempre scelte
per la musica senza riguardo a ciò che il testo racconta. Si può quindi correre il
rischio di sentire un brano il cui testo racconta di una fine tragica mentre si
proiettano immagini di bambini che ridono sull’altalena. La giustificazione in genere
è: « Ma chi vuoi che capisca che cosa dice il testo?» dimenticando che la rigorosità
nella creazione di un buon audiovisivo passa anche da questi dettagli tutt’altro che
secondari e che il prodotto finale può anche essere visto da uno spettatore di
madrelingua che ne rimarrebbe scioccato.
Altro elemento da tenere in considerazione sono gli effetti sonori. Su internet se ne trovano a bizzeffe. Andrebbero usati
cum grano salis ma non disdegnati perché possono apportare piccoli stacchi funzionali ad alcuni momenti.
Infine una parola sui tempi. In genere un’immagine può essere colta e valutata da un occhio “normale” se sta sulla scena
circa 4 secondi. Passaggi assai più brevi (sempre se accompagnati da idoneo supporto sonoro) servono solo per dare
qualche momento di dinamismo (colpi di flash), tempi più lunghi solo per le eventuali didascalie o costringere
all’attenzione. La durata complessiva di un audiovisivo non dovrebbe superare la decina di minuti. Vanno bene anche i
“corti” (lo spazio di un brano musicale) ma purché intensi e ben sviluppati.
A mio avviso - salvo esigenze particolari di scenografia e passaggi funzionali al racconto - sono da censurare sia l’abuso
nel ricorso a tempi brevissimi in cui non si riesce neppure a vedere la foto sia l’eccessivo e costante permanere di
immagini fisse sullo schermo.
L’immagine che vogliamo sia al centro della attenzione e ad alla quale quindi affidiamo il «monologo» deve essere quella
in grado di reggerlo, la più importante della serie, la chiave di volta della sequenza. Ecco che, ancora una volta, si
giustifica l’esigenza di immagini di spalla adeguate a preparare l’ingreso in scena del protagonista principale. E la musica
deve accompagnare questo ingresso in modo sapiente.
Peraltro il rispetto delle battute musicali può essere seguito «cum grano salis» e non pedissequamente. Le immagini non
sono come il colpo di piatti o di grancassa che nella banda segna il battere, ma possono essere inserite anche nel
«levare» se serve. Possiamo seguire il ritmo ma se per esempio decidiamo per un commento musicale in tre quarti
(poniamo un valzer) non è scritto da nessuna parte che tutte le immagini appaiano sempre e comunque sul movimento in
battere tutte difilato con la stessa cadenza fino al termine della musica. Non bisogna dimenticare che la musica si fonda si
sul tempo, ma anche sull’espressione e la dinamica (gestione dell’intensità sonora). E la musica ha anche pause e respiri.
Non c’è scritto da nessuna parte che il brano musicale debba essere suonato per intero. Può essere più efficace avvalersi
dell’estrapolazione di segmenti di brani, calibrandoli sul timing della scena all’interno della quale devono collocarsi.
Occorre infine porre attenzione al “fading” (passaggio tra i brani). Difficilmente due commenti musicali scelti per
succedersi l’uno all’altro hanno la stessa tonalità. E se questo è già un problema armonico, passare da un brano che
chiude in LAminore incollandogli brutalmente un’altro composto in FA diesis maggiore non è proprio il massimo
dell’armonia.
Un minimo di cultura musicale quindi non può essere disgiunta dal complesso articolato dell’audiovisivo.
CONCLUSIONE
Valutare correttamente la qualità di un audiovisivo e dargli un rating comporta a mio parere una disamina molto articolata.
Personalmente giudico per prima cosa la forza della storia raccontata, cioè la capacità di impiegare immagini e musica a servizio
di un racconto comprensibile ed efficace, piuttosto che l’esercizio stilistico fine a se stesso che è quello di mettere delle belle
immagini in successione tanto ci pensano da sole a raccontare una storia. Poi considero il modo come il racconto viene sviluppato
e l’efficacia/coerenza del commento sonoro di cui si è avvalsi. Di frequente si possono trovare due situazioni abbastanza
classiche: l’idea c’è ma è espressa male, oppure un bell’esercizio di retorica che però non dice nulla.
Eviterei anche i pistolotti finali, quella successione spesso ridondante e stucchevole di frasi ad effetto che pretendono di
aggiungere dopo i titoli di coda ulteriore pathos al lavoro, ma sovente si traducono in un abuso di mielosità. Troppo zucchero fa
male, ricordiamocelo. Non abusiamone, specialmente se il racconto ha già una sua forza intrinseca.
Come consiglio finale, ricordo l’importanza nonché correttezza di citare, nei titoli di coda, le fonti esterne a cui si è attinto.
Peraltro andrebbe aggiunto che l’uso di musiche e canzoni su audiovisivi destinati non all’uso privato comporterebbe il rispetto
delle regole sui diritti di autore.
MONTAGGIO E COLONNA SONORA